Tutti i commenti di Maurizio M.
Pubblicato in data: 1 marzo 2019
SPETTACOLARE
AVANTASIA - Moonglow
febbraio 27, 2019
Nuclear Blast
Quanta attualità mi perdo per qualche anno che non seguo assiduamente la scena metal internazionale? Tobias Sammet è il cantante degli Edguy, ma nel 2000 ha messo su il progetto estemporaneo degli Avantasia, con il preciso scopo di realizzare una "Metal Opera" in due volumi, usciti rispettivamente nel 2001 e nel 2002. Usando il linguaggio musicale del Power Metal Sinfonico/Progressivo. E poi... nulla più. Ma una cosa tanto peculiare poteva non avere un seguito? Assolutamente. Difatti, pochi anni dopo, il progetto è stato riesumato e... oggi siamo già all'ottavo album complessivo del progetto Avantasia. "Moonglow" appare ovviamente come una "Metal Opera" piena zeppa, come di consueto, di guest-vocalists di fama internazionale. Una versione tedesca degli Ayreon, se vogliamo. Ugualmente caratterizzata da un'enfasi narrativa tale da inglobare l'elemento Metal in un contesto fortemente sinfonico, anzi direi... ai limiti del Musical. Con dette premesse, la qualità complessiva o è eccellente o è eccellente. Non si scappa. E beh, ragazzi, qui le premesse sono state mantenute in pieno. Ascoltate ad esempio l'iniziale "Ghost On The Moon": quasi 10 minuti di energia Power Metal alternata con elementi sinfonici e parti "madrigalistiche" più intimiste. Un ottimo incipit. Più classicamente Power è "Book Of Shallows", ma l'alternarsi di Sammet con Hansi Kurch dei Blind Guardian, con il mitico Ronnie Atkins dei Pretty Maids (!), con Jorn Lande dei Masterplan e con... Mille Petrozza dei Kreator (!!!) la dice lunga sull'assortimento di stati d'animo toccati da un brano del genere. Capolavoro di melodie vocali è la title-track, con la sua coralità "celestiale". Non per nulla è presente Candice Night dei Blackmore's Night, capace di nobilitare le parti cantate fino a questo punto. Pura Arte! Un altro picco piuttosto alto sul disco è il madrigalone di oltre 11 minuti "The Raven Child", di nuovo con Kusch e Lande alle vocals assieme a Sammet. Quando il brano si accende di elettricità, accentuando i contrasti con le parti piano/voce/orchestra, risuona epico e potente, caratterizzato da un cantato ai limiti dell'AOR/Melodic Metal. Bello al punto di strappare qualche lacrimuccia. Il brano comunque contiene differenti parti, compresa una "battagliera" e veloce parte finale. Quindi l'attenzione dell'ascoltatore non va mai scemando. Questo è molto importante al fine di non trasformare la lunga durata in prolissità. L'alternarsi di brani più esigui di durata prosegue poi con "Starlight", cantata di nuovo in coppia con Atkins: delizioso concentrato "AOR/Metal" immediato ma di buona classe. Arriviamo poi all'accoppiata di "Invincible" ed "Alchemy", entrambe interpretate da Tobias assieme a... Sua Maestà Geoff Tate. La prima è un altro super-madrigale talmente ben riuscito che ci farà dimenticare l'esistenza stessa de Il Volo, e che ha il compito di introdurre la successiva, una traccia sciorinante un eccellente lavoro di melodia e classe vocale, su un tappeto sonoro ai limiti dell'Epic Metal. Sublime! Si arriva quindi a "The Piper At The Gates Of Dawn" (titolo ispirato sicuramente, al pari del titolo del primo album dei Pink Floyd, dall'omonimo capitolo del libro di fiabe "The Wind In The Willows"), brano Prog Metal caratterizzato da ottimi arrangiamenti di keyboards nonché da guest-performance vocali sempre di Atkins, Lande e Tate, ma stavolta assieme a... oddio, che sorpresa: Bob Catley dei Magnum (e cacchio se si sente!) ed Eric Martin dei Mr. Big (anche lui si sente eccòme!!!). Wow, non vorrei commettere l'errore di valutare un brano in base alle "Stars" che ci cantano su, ma qui tutti i particolari timbri vocali assieme sono davvero una delizia per le orecchie. Soprattutto per chi li conosce bene. Catley fa poi un bel duetto con Sammet nella canzone, se vogliamo, più Magnum-oriented: "Lavender", molto bella per gli arrangiamenti di tastiera pomposi e per i consueti refrain corali di un'epicità e classe molto alta. Le sorprese non sono mica finite qui: su "Requiem For A Dream", brano Helloween-oriented, ritroviamo come vocalist ospite addirittura Michael Kiske: aoh, qui se non siamo nella Storia del Power Metal "se ne annamo tutti a casa"! Alla fine troviamo ancora Martin e Sammet impegnati in una Metal-cover della mitica "Maniac" dalla colonna sonora di Flashdance, molto, molto carina. Ottimo modo per concludere un album così strepitoso. Ci saranno senz'altro tra i lettori di Giornale Metal molti detrattori degli stereotipi dello stile Power Metal, questo è umano. Ma dal momento che considero la qualità di quest'album quasi "sovraumana"... trascendete il genere e fatelo vostro. Due parole anche sulla bonus-track giapponese: "Heart" è una buona song di stile puramente AOR. Punto.
Pubblicato in data: 24 gennaio 2018
Non esaltante
E fu così che, dopo un parto travagliato, vide la luce l'opera numero 10 del “Reverendo”. Questo full-lenght che contiene (nemmeno a farlo apposta) 10 brani, esce con un titolo differente dal già annunciato “Say10” e per di più con un ritardo di oltre 6 mesi rispetto alle prime comunicazioni ufficiali. Poco importa, se non per il fatto che, in un modo o nell'altro, il nostro sia sempre in grado di distinguersi e far parlare di sé, resta il fatto che questo “Heaven Upside Down” si rivela un album di tutto rispetto, di quelli a cui non manca davvero nulla per lasciare il segno nella già sontuosa discografia personale del buon Marylin e che si distingue per l'incredibile fruibilità di ogni singolo brano in esso contenuto.
Eh sì, perché tutti i 10 titoli qui presenti sono, anche se con sfumature differenti, delle potenziali hit da classifica, vuoi per il sound maledettamente attuale e che strizza spesso l'occhio ad un pubblico che non disdegna di lasciare andare il proprio corpo a ritmi tipici delle discoteche alternative, vuoi per ritornelli immediati, talvolta memorabili, che danno più di una chance alle 10 tracce dell'album di essere lanciate nell'etere dalla maggior parte delle stazioni radio rock-oriented. Durante tutto l'album si alternano momenti più heavy a fasi più intime e melodiche, sempre efficaci e funzionali, tanto che i 48 minuti scorrono via praticamente in un attimo. Così, tra i vari brani, si può apprezzare un variegato assortimento di sapori che alternano la matrice tipicamente industrial alla new wave e, udite udite, addirittura allo stoner di matrice blues nella conclusiva “Threats Of Romance”. Il tutto passando per brani efficacissimi e ben strutturati come il singolo “WE KNOW WHERE YOU FUCKING LIVE”, “SAY10”, “Saturnalia” e “Blood Honey”, la traccia più intima ed emozionale di tutto il platter.
Pubblicato in data: 5 settembre 2017
UNISONIC - Live In Wacken
earMusic
Dopo due album da studio (l'omonimo ed il piú recente Light of dawn)gli Unisonic di sua maestá Micheal Kiske e di Kay Hansen, ritornano sul mercato con un'album dal vivo intitolato live in Wacken . Si tratta di un'esibizione che ha il sapore della gita fuori porta in un weekend d'agosto e spiace dirlo, la testimonianza di quella serata è più o meno sulla stessa linea. Chi scrive era presente al festival in quei giorni e aspettava con una certa ansia l'esibizione del dinamico duo, autentici beniamini per gli amanti delle sonoritÁ classiche e che ancora riescono a regalare grandi emozioni. Quello di Wacken non è stato uno show deludente, alla faccia del fango e di un pubblico accorso al party stage in maniera piuttosto tiepida. I due grandi amici adottano per l'occasione tutti i crismi necessari a soddisfare i palati teutonici: suoni perfetti, pose plastiche, professionalitÁ estrema. Kiske, Hansen e il resto della band hanno interpretato la serata con il massimo della professionalitÁ , il che intendiamoci, va benissimo.
Quello che rimane fra i solchi di"Live In Wacken"è la sensazione di un compitino ben eseguito quanto si vuole, ma pur sempre un compitino. Kiske non è mai stato un animale da palco, ma oggi si limita a bighellonare su e giù per il palco, limitando al minimo le interazioni col pubblico ("Wackeeeeennn...?!"). I classici alla "March Of Time" regalano ancora più di un'emozione e lasciano intuire quale spettacolo ci possa attendere con la reunion degli Helloween. Anche il repertorio della band ha i suoi grandi momenti, citiamo "Exceptional" , "My Sanctuary" e la canzone che dÁ il nome al gruppo, gli Unisonic vengono da due eccellenti prove in studio e le premesse da questo punto di vista sono ottime.Al netto di tutto ciò, resta il rammarico di ciò che poteva essere, una punta di entusiasmo sarebbe bastata per dare senso a un prodotto destinato a finire presto fra gli scaffali delle offerte. Dalla scaletta è stata criminalmente tolta "Over The Rainbow", l'unico momento davvero toccante del set, eseguita dai due sdraiati a bordo palco con gli occhi al cielo. Un vero peccato, perché avrebbero davvero potuto dare tanto di più. Ci piace pensare che si stiano in qualche modo risparmiando, e che il meglio debba ancora venire, a fine anno o giù di lì.
Pubblicato in data: 25 agosto 2017
Grandioso!
MR. BIG - Defying Gravity
Frontiers
A distanza di tre anni dall'ultimo lavoro, "The Stories We Could Tell", la leggendaria band di Eric Martin torna con un nuovo album, frutto di un'esperienza di decenni trascorsi a calcare i plachi di tutto il mondo. In soli sei giorni di lavoro in studio, a Los Angeles, la magia ha preso forma: "Defying Gravity", il nono album.L’album è innervato come sempre di una grande maestria strumentale e armonica con più di una striatura blues in background (caratteristica peraltro da sempre latente nel sound dei nostri); pezzi infatti come “Open Your Eyes†, “Everybody Needs A Little Trouble† o “Be Kind†, a gusto personale, non possono rivaleggiare coi classici degli americani anche se la resa ha una guisa decisamente moderna. Altri momenti invece più sostenuti (sempre serbando alla melodia un ruolo centrale) come la title track sono più fluidi†¦ in due parole funzionano meglio, anche se non possiamo esimerci dall’affrontare il vero punto debole dell’album in questione: la produzione! Nonostante sia stato coinvolto Kevin Elson, ovvero il quinto membro non ufficiale alla base del successo dei primi quattro album dei Mr. Big, i suoni di “Defying Gravity† risultano scarichi e se il giudizio sul songwriting rimarrÁ sempre un fatto soggettivo, non possiamo credere che altri possano ritenere questa produzione all’altezza dei lavori precedenti (compresi i recenti “What If†¦† e “†¦The Stories We Could Tell†); probabilmente il fatto che l’album sia nato nel giro di poche jam in studio in una sola settimana ne ha plasmato il carattere diretto e senza orpelli ma ha altresì lasciato alcuni particolari quasi “incompiuti†.
Eric Martin usa con la solita maestria la propria voce ben conscio dell’abbassamento dovuto all’etÁ matura (sentite “Mean To Me†, dotata tra l’altro di uno splendido duello Gilbert/Sheehan) anche se il vero protagonista dell’album ci sentiamo di dire sia un Paul Gilbert in forma smagliante, che ha leggermente mutato il suo approccio puntando più sull’improvvisazione (come ammesso dallo stesso musicista in qualche recente intervista). A onor del vero “1992† sembra uscita da una session dei Racer X se non fosse per l’iniezione AOR che i nostri hanno nel DNA e trasferiscono anche sui riff più corposi.Anche stavolta i Mr. Big hanno dimostrano di possedere energia, “tiro† e grande tecnica. Non sempre, però, le canzoni appaiono perfettamente a fuoco sia sul piano della composizione sia sul piano dei suoni e della produzione. Talvolta, infatti, e soprattutto nei brani uptempo, si ha l’impressione che l’energia che il gruppo cerca di sprigionare sia compressa e claustrofobica, senza riuscire ad esplodere mai davvero.La chitarra del maestro Paul Gilbert è, naturalmente, onnipresente e serpeggiante in tutti i meandri, e tutti gli altri suonano alla grande, ma senza particolari exploit, lasciando così talora nell’ascoltatore una sensazione di non perfetta soddisfazione, pur tra tanti spunti brillanti. E, paradossalmente in relazione ad un album di rock duro, migliori e più nitidi ci appaiono i brani meno rock e più "swinganti" del lotto.Probabilmente “Defying Gravity† richiede più ascolti per essere apprezzato appieno, ma appare di primo acchito come un buon disco non equiparabile, però, alle prime, amatissime opere della band, e posto una tacca sotto alcuni dei suoi più recenti album.
Pubblicato in data: 18 luglio 2017
MASTERPLAN - PumpKings
AFM
I Masterplan nascono nel 2001, arrivando solo al 2003 con il loro debutto intitolato Masterplan. Da quel momento sono passati ben 14 anni, in cui la band ha avuto svariati problemi con la formazione, andando a cambiare assetto varie volte. E tra un litigio e un altro si arriva a questa pubblicazione, che non è un album di inediti, ma ben si la ri-registrazione di undici tracce risalenti al periodo in cui il fondatore e chitarrista, Roland Grapow, faceva parte dei be più noti Helloween. Estrapolati da album usciti a cavallo tra il 1990 e il nuovo millennio come Chameleon, Master Of the Rings, Pink Bubbles Go Ape, The Time Of The Oath e The Dark Ride. Se guardiamo a questo lavoro come una sorta di operazione nostalgica da parte del biondo axe-man, possiamo dire che ne è venuto fuori un discreto album di cover.
Suonate ovviamente in modo egregio, registrate con le attrezzature odierne, che donano ai brani un diversa veste, anche in virtù della voce di Rick Altzi completamente diversa rispetto a quella di Andi Deris. Ma la cosa si ferma qui comunque. Rimane il fatto che sotto questa apparente nostalgia potrebbe nascondersi una certa voglia di cavalcare l’onda del successo che stanno riavendo in questo periodo proprio gli Helloween, causa della fortunata reunion. Mossa, secondo chi scrive, fatta solamente per una questione commerciale, si non sarÁ bello da dire ma tutto lascia presagire ciò. Il tutto ovviamente senza alcuna cattiveria, ognuno è libero di pensare e fare ciò che meglio crede. Rimane sempre un piacere sia chiaro riascoltare brani come Still We Go, The Time Of The Oath, The Chance oppure The Dark Ride, da molti sottovalutata. La band fa certo il suo dovere e anche in modo superlativo, ma oltre a buone cover non vi è nulla di particolarmente eccitante in questo disco. Consigliato solo agli amanti del rinomato chitarrista.
Pubblicato in data: 8 giugno 2017
Bellissimo
Un piede nella fossa diremmo noi, ma i nostri thrashers tedeschi amanti della bionda figlia del luppolo, non moriranno mai. E questo nuovo disco è l’ennesimo album testimone della fede metal nel thrash, potente, diretto e senza fronzoli che il nostri hanno concepito; perché la band capitanata dal buon Andreas “Gerre†Geremia, è come quei piatti che non sono esempi di moda,che non sanno di niente, ma sai, sono presentati bene..; qui abbiamo un “piatto† non da Masterchef ,ma totalmente agli antipodi, che ti scalda il cuore e l’anima; difatti partiamo col botto con la speed/thrash metal “Pay to pray†,una bella canzone che è a rotta di collo, cantato scartavetrtante, coro da rissa e chitarre che più grattate non si può, questo è thrash metal signori! †Arena of the true lies†è l’ennesimo brano spaccaossa, che ti spinge a fare headbanging, la batteria in doppia cassa diretta, e le chitarre macinano riff su riff mentre il buon “Gerre†,dice la sua con la sua tipica voce sgraziata ma caratteristica; la titletrack è un mid tempo calibrato, con chitarre che graffiano, un coro da mosh e dei solos al calor bianco, stessa cosa si può dire della tellurica “Syrian nightmare†,perché è la summa perfetta di come si deve suonare e soprattutto scrivere una thrash metal song, fresca, aggressiva, senza fronzoli ,ma con una costruzione armonica e riff che ti grattano l’anima.
Una breve orchestrazione introduce il brano “Northern crown(lament of the undead king†) “,ed è manna per le orecchie, perchè i nostri aggiungono anche quintali di humor alla formula fin dalla fondazione; basta vedere le copertine dei loro album per rendersene conto e anche questo non fa difetto. “Secret order 1516† non narra un codice misterioso, ma anzi, è la beer song, come da tradizione i nostri non si smentiscono mai; pezzo grezzo ed efficace, a degna chiusura “Sole grinder†, brano potente che prende in giro il loro manager Buffo; definito dal buon singer teutonico “la più divertente, collerica persona in Germania†. Che volere di più di un disco che promette, sudore, divertimento scanzonato, ottime canzoni, solos melodici e ficcanti e sana ironia ;i nostri sono una certezza ,e promossi ancora una volta; per chi fosse uno smanettone con internet, i nostri sono dei tifosi indiavolati della squadra di calcio della loro cittÁ , l’Eintracht Francoforte, tanto da aver coverizzato e personalizzato a dovere l’inno; durante la finale di coppa di Germania, sono stati invitati in mezzo al campo a suonarlo; cercatelo su Youtube il filmato, e capirete che certe cose, succedono solo in terra tedesca; grandi Tankard!
Pubblicato in data: 2 giugno 2017
Fantastico!
Dei Dragonforce si è sempre detto tutto e il contrario di tutto. Amati e allo stesso tempo pieni di detrattori, questa band ha saputo intanto ritagliarsi un posto di rilievo nel panorama mondiale del power speed metal. Volenti o dolenti i loro aguzzini devono dar atto di tutto ciò. Vero, saranno anche ripetitivi, tecnici fino all’inverosimile, ma sono loro i Dragonforce. E amano suonare questo genere più di ogni altra cosa. La loro proposta come sempre è incentrata sulla velocitÁ , tecnica, cori da stadio e tanta voglia di divertirsi! Quest ultimo Reaching Into Infinity, si potrebbe tranquillamente posizionare in un qualsiasi periodo della loro giÁ nutrita discografia, proprio per ciò che abbiamo detto prima. Fatto sta che i brani risultano freschi e dannatamente accattivanti! E togliendosi davanti tutte le critiche che ricevono, si apprezzerÁ e magari non poco. Ciò che fanno, lo sanno fare molto bene, risultando anche simpaticissimi e con una energia positiva che riesce a conquistare fin da subito. Poco importa spesso se ripropongono all’infinito la stessa proposta musicale. Dopo tutto ognuno è libero di potersi esprimere come meglio crede.
E poi se piace o meno bè questa è un'altra storia. Brani come Astral Empire, con il drumming forsennato colpisce subito nel segno. Certamente i richiami alla scena speed tedesca, old Helloween in primis, sono parecchi. Dopo la furia dei primi cinque brani, ci si riposa un pochino con Silence, una godibilissima semi-ballad. Ma a riportare velocitÁ schiacciando il piede sull’accelleratore ci pensa Midnight Madness, con tanto di cori da canticchiare anche sotto la doccia! Con War! Si continua su territori All Speed, con in mostra una una bella canzone da ascoltare più volte. Un po’ di tranquillitÁ apparente ,solo per aalcuni momenti, ritorna con il quasi mid-tempos di The Edge Of The World, con un cantato in stile death metal con tanto di growl! Una dei migliori brani dell’intero lavoro. Lavoro che non inventa nulla e su questo siamo tutti d’accordo. Una sola cosa comunque è sicura, ci sanno fare e anche bene! Una menzione particolare va alla cover dei leggendari e mai dimenticati Death, Evil Dead. E qui un piccolo nodo alla gola sale†¦non si può rimanere indifferenti alla memoria di Chuck!
Pubblicato in data: 31 maggio 2017
Un live impeccabile!
Ed ecco anche loro i Vanden Plas che si ripresentano al grande pubblico con questo nuovissimo live intitolato per l’occasione The Seraphic Live Works. I famosi tedeschi ci sanno fare e come. Sempre eleganti e con innata classe sciorinano i loro brani in maniera davvero esemplare. Questo live è stato registrato durante il ProgPower Usa nel 2011 e fatto uscire in questo 2017. Ci troviamo come sempre davanti una band in splendida forma, che dopo tanti anni sa ancora come ammaliare i suoi ascoltatori soprattutto durante i loro live shows. Il loro genere lo si può definire come una sorta di power metal con tinte progressive. Molto personali e coerenti anche sul versante dei testi, da sempre loro punto di forza. Si comincia con la stupeda Postcard To God, il titolo dice giÁ tutto. Una rappresentazione di cosa sia la musica dei Vanden Plas, nove minuti di goduria e di estrema classe.
E continua con Rush Of Silence, altro grande brano dal sapore settanti ano in alcuni frangenti, con parti chitarristiche degne del migliore prog rock, anche qui brano abbastanza lungo, circa dieci minuti che comunque non annoiano assolutamente. I brani non sono molti in questo live, appena nove. Segno che la band bada alla qualitÁ e non alla quantitÁ , anche se in un contesto dove probabilmente per svariate ragioni hanno dovuto presentare una setlist non completa. Sempre un piacere ascoltare brani come Scar Of An Angel, con il suo inizio di pianoforte, emozionante. Sanno tenere ottimamente il palco, essendo anche una band che si adatta ben volentieri a suonare dal vivo. Cold Wind, Frequency, altri due brani che dal vivo rendono davvero alla grande. Gli amanti del power, del progressive e chi segue la band tedesca non rimarrÁ sicuramente deluso da questo album dal vivo. Degna testimonianza di una band che ha ancora qualcosa da dire anche sul fronte live. Da segnalare poi che il live esce anche in formato Dvd, quindi un doppio motivo per recuperare la propria copia di The Seraphic Live Works
Pubblicato in data: 14 maggio 2017
Il miglior disco dei Labyrinth
Erano sette anni che aspettavo questo disco e non sono rimasto deluso. È un disco bellissimo, fantastico. Suonato in modo impeccabile e composto da canzoni meravigliose. Un disco maturo che ci mostra una band in ottima forma.
Pubblicato in data: 21 aprile 2017
HOUSE OF LORDS - Saint Of the Lost Souls
La collaborazione House Of Lords/Frontiers continua imperterrita da anni, visto che praticamente dalla reunion del 2004 la band lavora con la nostrana etichetta senza nessun tipo di interruzione. In tredici anni di collaborazione la band ha dato alla luce ben otto album mantenendo uno standard qualitativo alto ed il riconoscibile trademark che da sempre caratterizza il combo. La voce di James Christian sembra non risentire né del tempo che passa e neppure delle sventure capitategli in passato visto che ancora oggi si esprime in maniera splendida. A mio avviso la track list è più che degna di far si che questa sia una di quelle releases in grado di esser messa in considerazione tra le migliori quando arriverÁ il momento dei pagelloni finali di questo 2017.Grazie,sempre a mio avviso,al...saccente utilizzo che il gruppo fa delle basi di tastiere (suonate anche da Michele Luppi), oggi nuovamente in primo piano come non accadeva da tempo, o meglio dai tempi in cui un certo Giuffria militava nella formazione. E fin dalla partenza ci dimostra proprio questo l’opener, singolo e video Harlequin, la cui intro di tastiere, mamma mia, è da strapparsi i capelli dalla testa, per un pezzo che ci riporta indietro nel tempo di almeno vent’anni e che rimane impresso nella mente fin dal primo ascolto. Magistrale ed elegante è anche Oceans Divide, a cui segue la ottima mid-tempo melodica Hit The Wall, tra i brani più belli non solo del platter ma anche della carriera recente del gruppo per come sa combinare alla perfezione ricercatezza sonora e melodicitÁ .
Non delude certamente neppure la title track Saint Of The Lost Souls, una canzone più rocciosa ed eleborata nelle sue parti, ma non meno melodica delle precedenti, che apre alla dolce ballad The Sun Will Never Set Again, molto ispirata nelle sue atmosfere e di grande qualitÁ compositiva. Concludendo,Saint Of The Lost Souls è un lavoro discreto e piacevole da ascoltare, anche se difficilmente sarÁ l'album che, in modo specifico e mirato, andrete a ripescare quando a distanza di tempo vi verrÁ il capriccio di trascorrere un pomeriggio con gli House Of Lords. SarÁ uno dei tanti dischi medio-buoni della loro discografia (a tratti interscambiabile, se ci riferiamo al periodo 2004 - 2017) senza infamia e senza lode, forte di una professionalitÁ ineccepibile e del carisma enorme di Christian dietro ai microfoni. Sarebbe semplice fare una prova al contrario, ovvero affidare queste composizioni ad un singer meno "ingombrante" di Christian per vedere che a galla non rimarrebbe poi moltissimo. Onore al veterano Christian, onore agli House Of Lords che a partire dai tardi '80 tante pagine di prestigio hanno vergato nella storia del rock, onore al loro cammino che ancora oggi prosegue imperterrito con un disco che non cambia e non aggiunge niente alla loro storia, ma conferma se non altro che l'eleganza è una dote innata.