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Sworn to a great divide | CD | Soilwork

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Scheda Articolo

Codice articolo 433255
Genere Musicale Melodic Death Metal
Esclusiva EMP No
Media - Formato 1-3 CD & DVD
Edizione Limited Edition
Tema Band
Band Soilwork
Tipologia prodotto CD
Data di pubblicazione 19/10/2007

Disc 1

  • 1.
    Sworn to a great devide
  • 2.
    Exile
  • 3.
    Breeding thorns
  • 4.
    Your beloved scapegoat
  • 5.
    The Pittsburgh syndrome
  • 6.
    I, vermin
  • 7.
    Light discovering darkness
  • 8.
    As the sleeper awakes
  • 9.
    Silent bullet
  • 10.
    Sick heart river
  • 11.
    20 more miles
  • 12.
    Martyr

Disc 2

  • 1.
    Studio report: Not quite studio / The devlab
  • 2.
    Exile (Video)
  • 3.
    On stage: Official bootleg (Live @ Z7 - Pratteln, Switzerland)

da Riccardo Manazza (07.10.2007) I Soilwork sono l’unica band della seconda generazione dello swedish melodic death metal ad avere trovato il successo stabile dei prime mover. Un obiettivo raggiunto con merito, sia per le attente scelte di marketing fatte, sia per la indubitabile qualità di molti dei loro dischi. C’è però da dire che nelle ultime uscite la band presenta qualche caduta di tono e anche la tanto apprezzabile voglia di mutare alla faccia delle lamentele dei più tradizionalisti non sembra a lungo termine aver portato i risultati sperati. Un discorso che calza alla perfezione anche per ‘Sworn To A Great Divide’, lavoro ineccepibile nella forma, ma che mostra tutti i limiti di una formazione che deve anche affrontare la separazione con un elemento fondamentale per il songwriting come Peter Wichers e che fatica quindi ancora di più a mantenere il livelli qualitativi delle uscite fino a ‘Natural Born Chaos’. Proprio a quest’ultimo pare facile paragonare la nuova opera, anche perché si rinnova la collaborazione con Devin Townsend nel ruolo di produttore delle parti vocali. Un connubio efficace che porta in dote ai Soilwork il giusto suono a cavallo tra la pulizia vecchio stile e pressione ritmica più moderna in grado di valorizzare ogni sfumatura dei brani. Purtroppo sono proprio questi ultimi ad essere solo discreti, quasi asettici nella loro spasmodica ricerca d’equilibrio tra parti melodiche e assalti ritmici graffianti. Molta importanza viene data alle clean vocals, una presenza forse troppo ingombrante visto i risultati spesso contestabili (chorus ripetitivi e troppo banali!). Le cose sembrano funzionare meglio quando la band ritorna su territori thrash da sempre congeniali, ma forse per la paura di ribattere troppo concetti usati in passato, la proporzione penalizza questo aspetto in modo eccessivo. Non è però il caso di esagerare nelle critiche, l’album rimane ben eseguito e assolutamente piacevole, ma la vitalità che trasudava dall’ascolto delle prime uscite ormai non la sentiamo più. Stato emozionale da cui scaturisce immancabilmente una punta di delusione.

da Riccardo Manazza (21.01.2008) I Soilwork sono l’unica band della seconda generazione dello swedish melodic death metal ad avere trovato il successo stabile dei prime mover. Un obiettivo raggiunto con merito, sia per le attente scelte di marketing fatte, sia per la indubitabile qualità di molti dei loro dischi. C’è però da dire che nelle ultime uscite la band presenta qualche caduta di tono e anche la tanto apprezzabile voglia di mutare alla faccia delle lamentele dei più tradizionalisti non sembra a lungo termine aver portato i risultati sperati. Un discorso che calza alla perfezione anche per ‘Sworn To A Great Divide’, lavoro ineccepibile nella forma, ma che mostra tutti i limiti di una formazione che deve anche affrontare la separazione con un elemento fondamentale per il songwriting come Peter Wichers e che fatica quindi ancora di più a mantenere il livelli qualitativi delle uscite fino a ‘Natural Born Chaos’. Proprio a quest’ultimo pare facile paragonare la nuova opera, anche perché si rinnova la collaborazione con Devin Townsend nel ruolo di produttore delle parti vocali. Un connubio efficace che porta in dote ai Soilwork il giusto suono a cavallo tra la pulizia vecchio stile e pressione ritmica più moderna in grado di valorizzare ogni sfumatura dei brani. Purtroppo sono proprio questi ultimi ad essere solo discreti, quasi asettici nella loro spasmodica ricerca d’equilibrio tra parti melodiche e assalti ritmici graffianti. Molta importanza viene data alle clean vocals, una presenza forse troppo ingombrante visto i risultati spesso contestabili (chorus ripetitivi e troppo banali!). Le cose sembrano funzionare meglio quando la band ritorna su territori thrash da sempre congeniali, ma forse per la paura di ribattere troppo concetti usati in passato, la proporzione penalizza questo aspetto in modo eccessivo. Non è però il caso di esagerare nelle critiche, l’album rimane ben eseguito e assolutamente piacevole, ma la vitalità che trasudava dall’ascolto delle prime uscite ormai non la sentiamo più. Stato emozionale da cui scaturisce immancabilmente una punta di delusione.

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